Quando un’azienda ha intenzione di intraprendere un’azione disciplinare penale nei confronti di un dipendente che ha commesso un illecito, deve farlo rispettando una procedura in cui l’elemento principale è dato dalla contestazione immediata e specifica nei confronti del lavoratore.
La contestazione è necessaria affinché venga convalidata la sanzione, non richiede nessun tipo di formalità se non quella di essere scritta e contenente le motivazioni da parte del datore di lavoro, inerenti all’accusa di illecito disciplinare.
Il datore di lavoro tuttavia può effettuare delle indagini, purché il dipendente abbia la possibilità successivamente di difendersi; tuttavia le prove inerenti al caso, possono anche non essere rese note al lavoratore o ai suoi legali.
All’interno della contestazione non è necessario che vi sia un’esposizione precisa dei fatti avvenuti, ma è richiesta la sintesi del richiamo, ossia le indicazioni prettamente essenziali affinché questo sussista.
L’immediatezza del richiamo si riferisce a un lasso di tempo molto breve, tempestivo se si considera che l’azione deve partire dal momento in cui si viene a conoscenza dell’illecito.
Per la Corte di Cassazione il principio di immediatezza è in realtà piuttosto relativo, poiché potrebbero subentrare degli elementi che influiscono sul ritardo della contestazione, come ad esempio la grandezza dell’azienda o il tempo necessario per la verifica delle indagini.
Nel 2012 una sentenza della Corte di Cassazione di Milano ad esempio, ha rigettato un richiamo da parte di un’azienda nei confronti di un lavoratore che tempo prima era stato condannato dal Tribunale per il reato di furto aggravato nel mese di ottobre 2009, su un reato però imputabile all’anno 2007.
Nel mese di luglio dell’anno 2010, il Tribunale ha accettato la domanda di ricorso presentata dal legale del lavoratore, che impugnato il licenziamento, ne dichiarava l’illegittimità. E difatti anche in questo caso, la sentenza da parte della Corte fu la condanna della decisione aziendale.
Il provvedimento è dovuto al fatto che, secondo le indagini, il datore di lavoro era a conoscenza dell’illecito già nel 2007.
Tuttavia il datore di lavoro in appello ha tentato di richiedere la conversione del licenziamento in “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” ma anche in questo ricorso, il giudice ha ribadito la sentenza precedente in cui l’azienda, per via della tardività della contestazione, era obbligata a riassumere il lavoratore.
Un vizio di forma, dunque, come poi ha specificato la Corte d’Appello, che a sua volta ribadito il ritardo del provvedimento e quindi della procedura di contestazione nei confronti del lavoratore.
In questi casi è sempre bene avvalersi di un buon legale che sappia rappresentare al meglio il proprio assistito e fornisca una difesa adeguata al caso.
Vi lasciamo a seguito con due link utili: