Secondo quanto afferma Matthew Syed, giornalista britannico del Times e autore del libro “Se sbagliamo ci sarà un perchè. Il rivoluzionario metodo per imparare dai propri sbagli”, “a livello cerebrale, individuale, organizzativo e sistemico, il fallimento è un mezzo, a volte l’unico, per imparare, progredire e diventare più creativi”. Ma per quale motivo?
Tutto comincia dagli aerei
Per saperne di più, cominciamo con il ricordare che il titolo originale del libro è in realtà Black Box Thinking, in riferimento alle due scatole nere che sono installate sugli aerei e che in caso di incidente permettono di recuperare i dati utili per poter capire le cause del sinistro.
Proprio grazie a questo metodo, sottolinea lo studioso, l’aviazione è riuscita a raggiungere un livello di sicurezza davvero notevole. E allo stesso modo, ciascuno di noi – prosegue Syed – dovrebbe poter attingere a una sorta di scatola nera in cui viene conservata la memoria delle nostre azioni e dei nostri errori, per poter evitare di farne altri e avere così il desiderato successo.
Da David Beckham a Michael Jordan
Per poter spiegare in maniera più dettagliata il proprio pensiero, Syed si occupa del rapporto che lega le grandi aziende alle società sportive e agli uomini di sport. Come David Beckham. L’esperto ricorda di averlo intervistato nel 2014, durante il suo ultimo anno con il PSG, a Parigi. ““Quando le persone parlano dei miei calci da fermo si concentrano solo sui gol. Ma quando ci penso io, mi tornano in mente tutti quei fallimenti. Ho dovuto sbagliare un sacco di volte prima di centrare la porta”, gli disse Beckham, che da palla inattiva ha pur segnato 65 volte.
Un altro dei protagonisti sportivi che viene assunto come esempio di fallimento e di miglioramento è Michael Jordan, probabilmente il cestista più famoso delle ultime generazioni. In una recente pubblicità Jordan dice “‘ho sbagliato più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento partite. Per ventisei volte ho avuto la responsabilità del tiro che avrebbe chiuso la partita, e non ho fatto canestro”. Una pubblicità che, per certi versi, mira proprio a esaltare il fallimento, quale elemento di rafforzamento mentale e emotivo.
Insomma, prosegue Syed, “il fallimento è una realtà con cui tutti, prima o poi, devono fare i conti, che si tratti della sconfitta della squadra locale di calcio, di un colloquio di lavoro andato male o della bocciatura a un esame (…) Nessuno vuole fallire – scrive Syed –, ma a livello collettivo, considerando la complessità sistemica, il successo arriva solo quando ammettiamo i nostri errori, impariamo da essi e creiamo un clima in cui, in un certo senso, fallire è accettabile”.
Per l’autore, infine, se si desidera sviluppare il proprio reale potenziale d iindividui e di organizzazioni, è necessario ridefinire il fallimento perchè gli errori – sebbene abbiano significati differenti e richiedono reazioni (appunto) diverse in base al contesto, rappresentano sempre dei supporti di valore da cui imparare.